Come diventare un vero viaggiatore, spiegato bene
Sì, sto trollando, ma ti propongo un gioco
Che tu sia tra surfisti in un ostello in Portogallo o tra volontari in una casa-famiglia in Cambogia, che tu abbia prenotato un safari da migliaia di euro in Uganda o un biglietto per l’Afrikaburn, che tu abbia appena dato le dimissioni con un volo di sola andata per dove costava meno o già prenotato le vacanze di Natale 2024, che trascorrerai visitando dieci paesi in dieci giorni, sono pronta a scommettere che non puoi fare a meno di credere che tu sì che sei un vero viaggiatore.
Se poi hai anche avuto la tua rivincita contro l’erotica noia borghese e hai dato fuoco ai tuoi soldi dopo aver visto Into the Wild, ma sei ancora vivo - cosa che non possiamo certo dire di Christopher McCandless aka Alexander Supertramp - allora hai vinto tu, hai decisamente vinto tu! Sei il viaggiatore più viaggiatore di tutti.
Quelli che si ingarellano su chi fa l’esperienza di viaggio più autentica o si dilungano in spiegoni - perlopiù rivolti a viaggiatori come loro, a cui danno però dei turisti - su come viaggiare davvero, mi suscitano più o meno la stessa reazione di quelli che mi spiegano quale sia il vero yoga.
Non che l’interrogativo non si affascinante, sia chiaro. È il mix di ingenuità e arroganza delle risposte che mi ammazza. Quindi oggi ti propongo un gioco: valutiamo insieme quanto è autentica la tua esperienza di viaggio. Ci stai?
Io sono Daria, sto per compiere 38 anni, sono in viaggio da (quasi) 100 giorni e questa è Kundalini Beat, la mia newsletter. Se per caso stai leggendo senza essere iscritto: ISCRIIVIIITII <3
Viaggi davvero se rinunci al tuo ruolo
Secondo Georg Simmel, tra i più importanti sociologi di inizio Novecento, il viaggio1 facilita un tipo di interazione sociale che è temporaneamente svincolata dalle strutture e dalle gerarchie della vita quotidiana. I ruoli e le aspettative sociali che guidano, ma a volte anche opprimono l’individuo moderno vengono sospesi momentaneamente. Senza l’angoscia di una perdita definitiva, quindi, il viaggio concede a chi lo compie una condizione di estraneità rispetto al nuovo contesto in cui ci si viene a trovare, che consentirebbe il sorgere di connessioni basate su una forma di reciprocità “più genuina e immediata”: il viaggiatore fa un’esperienza più autentica perché l'osservazione diretta2 sostituisce preconcetti, pregiudizi e convenzioni sociali basate sui ruoli precostituiti. Non solo: in questo stato privilegiato che è quello di viaggiatore, l’individuo può osservare da un nuovo punto di vista anche il proprio contesto di appartenenza, e addirittura quindi giungere a conclusioni più ampie e approfondite sulla natura stessa delle interazioni sociali e culturali, che così possono anche essere vissute in modo più libero e aperto. Bello, no?
Se anche tu quando viaggi senti che ti puoi liberare della maschera sociale che sei costretto a indossare quando sei a casa e questo ti aiuta a capire meglio chi sei senza pressioni sociali: +5 punti vero viaggiatore.
Se invece quando parti indossi la maschera del “vero viaggiatore” e la cosa più importante per te resta che gli amici da casa ti riconoscano questo status: 0 punti vero viaggiatore.
Se quando viaggi ti sbarazzi del tuo ruolo domestico, ma ti fai subito incastrare in un nuovo ruolo identico al precedente: +5 punti (almeno ci hai provato).
Viaggi davvero se non misuri quanto vali dalle destinazioni che ti puoi permettere
L’analisi di Max Weber sulle strutture di potere nella società moderna ci aiuta a individuare una chiave di interpretazione più critica del fenomeno del turismo: in quanto settore economico, il turismo subisce dei processi di burocratizzazione e standardizzazione che da un lato semplificano e quindi ampliano l'accesso all’esperienza di viaggio, dall’altro la riducono a un bene di consumo come tanti altri. Il sistema capitalistico si autoalimenta promuovendo l’accumulo di ricchezza come fine, non come mezzo per raggiungere altri fini. In questo senso, potersi permettere un certo tipo di viaggio è più importante del viaggio in sé, e la destinazione che scegli si riduce a un indicatore di performance, status, prestigio e successo. Certe forme di turismo servono effettivamente a riaffermare le differenze sociali3.
Qui non importa quanto ti applichi a cercare l’esperienza rara ed autentica: quello che conta è che la ricerca nasce da un'estensione del desiderio di distinguersi attraverso il consumo (Weber lo chiama consumo dimostrativo legato allo status sociale). Chiaramente, se sei fortunato, un orso può sempre attaccarti e risvegliarti dal torpore capitalista. Lì te la giochi tu.
Se stai pensando di fare una SPA durante un SAFARI: -5 punti (grazie a Cristiano Guidetti per aver intercettato questo incredibile nuovo trend: lo SPAFARI).
Se letteralmente “collezioni” i paesi in cui se sei stato e non vedi l’ora di piantare il tuo spillo nel mappamondo di design quando torni da un viaggio: 0 punti.
Se viaggi per colmare il vuoto lasciato dal disincanto di un mondo iper-razionale che non lascia più spazio allo stupore, ma pianifichi tutto su un foglio xl e finisci per contribuire anche tu a quello stesso disincanto: +5 punti.
Viaggi davvero se rinunci a metterti al vertice del mondo
La ricerca dell'alterità, ossia la ricerca di esperienze, culture, usanze, costumi, stili di vita "altri" rispetto ai propri, è un tema centrale per i viaggiatori. Quelli veri, s’intende.
Secondo l’antropologo Claude Lévi-Strauss, però, questa ricerca dell'altro non solo stimola la curiosità, l’apertura mentale e il desiderio di scoperta, ma solleva anche questioni etiche su come le culture vengono rappresentate e consumate dai viaggiatori.
Esiste una tendenza, da parte di chi si sposta, a valutare le altre culture sulla base dei valori e degli standard della propria, spesso dandone per scontata la superiorità. Considera la tartaruga: ci sentiamo tanto più nel giusto quanto più ci fa impressione l’idea di mangiarla4, “maledetti vietnamiti”, ma la prima minaccia alla sopravvivenza delle tartarughe è la distruzione dei loro habitat - plastica, inquinamento chimico, cambiamento climatico. Ops. Insomma, la tendenza a percepire l'altro attraverso una lente etnocentrica può portare a fraintendimenti e a una valutazione superficiale delle culture ospitanti, riducendo spesso l'esperienza turistica a un consumo stereotipato dell'alterità.
Lévi-Strauss critica l'approccio riduzionista e spettacolarizzato delle differenze culturali - non si chiamava ancora “storytelling” - mettendo in guardia contro la semplificazione e l'esotizzazione dell'altro: bisogna innanzitutto riconoscere che le esperienze turistiche sono sempre costruite e mediate, nonché gravide di dinamiche di potere implicite nel modo in cui i turisti interagiscono con le culture ospitanti.
Lui preso malissimo apre il suo Tristi Tropici (1955) dichiarando: «Odio i viaggi e gli esploratori, ed ecco che mi accingo a raccontare le mie spedizioni». Ovviamente, lo si ama.
Sei andato da McDonald a Bangkok: -5 punti.
Hai assaggiato lo spiedino di scorpione: +5 punti.
Poi lo hai vomitato: + altri 5 punti.
Viaggi davvero se accetti uno scambio alla pari
Hosts and Guests: The Anthropology of Tourism, curato dall’antropologa Valene L. Smith, scomparsa lo scorso 16 gennaio, fu pubblicato per la prima volta nel 1977 e da allora costantemente aggiornato in nuove edizioni con l’obiettivo di inquadrare da una prospettiva antropologica il fenomeno del turismo in costante divenire. Tra l’analisi di impatti economici e ambientali, di conseguenze sociali e culturali, un importante fulcro di interesse sono le strategie di adattamento adottate dagli hosts e dai guests in seguito al loro incontro.
Emerge che “i turisti sono meno propensi a prendere in prestito dai loro ospiti rispetto a quanto gli ospiti prendono in prestito da loro, innescando così una catena di cambiamenti nella comunità ospitante”5.
Il vero viaggiatore è quello quindi che è più propenso ad accettare uno scambio alla pari, mentre il turista è quello che osserva incontaminato, o peggio: contaminante. Ma possiamo spingerci oltre.
Vincenzo Rizza, di cui vi consiglio di leggere la newsletter Vita da Nomade, commenta questo passaggio con un’osservazione brutale: “viaggiamo per vivere un cambiamento ma finiamo per infliggere un cambiamento agli altri”.
Quello “scambio” tra hosts and guests non è ovviamente solo un mero negotium qualsiasi: ne va del loro essere. E se vogliamo viaggiare davvero, allora dobbiamo aumentare la nostra propensione al cambiamento6 (che è poi la stessa risposta di Vincenzo).
Il vero viaggio, ma guarda un po’, non dipende da quanto lontano vai dalla tua comfort zone, o quanto ti avvicini a ciò che ti assomiglia di più, il vero viaggio è quello che non finisce con una parantesi chiusa quando torni a casa.
Mi dispiace evocare un paragone così buio, ma vi ricordate quando durante la crisi del Covid ci chiedevamo se sarebbe cambiato tutto oppure no? Se quella rottura della continuità fosse soltanto una parentesi o l’inizio di una nuova era? Ecco oggi mi sento di dire che per me è cambiato tutto, perché probabilmente io mi sono lasciata cambiare da quell’esperienza. Sono cambiate le cose che per me sono davvero importanti. Ma per molti si è solo chiusa una parentesi, ed è tutto tornato come prima, perché loro sono tornati come prima.
Non sto cercando di separare chi ha torto da chi ha ragione, sia chiaro. Sto solo identificando gradi diversi di permeabilità agli eventi, che non è affatto detto sia un valore in assoluto. Chi mi ha vista dare le dimissioni e partire può aver pensato che io sia pazza esattamente come a me è capitato di pensare che chi ha ripreso ad andare in ufficio “normalmente” lo sia. La verità è meno melodrammatica: siamo semplicemente persone diverse, anche se a volte questo è dolorosissimo da ammettere, soprattutto quando nelle relazioni importanti si prendono direzioni diverse.
Il turista è colui che non torna cambiato, che non desidera cambiare, mentre il viaggiatore è colui che si mette in discussione attraverso il viaggio stesso. (Quanto siamo disposti a cambiare, Vincenzo Rizzo)
Ecco perché a Vincenzo ho risposto che per me, in effetti, il viaggio è un mezzo non è un fine: non sono in Cambogia perché è proprio in Cambogia che incontrerò Il Vero Altro o La Vera Me. Sono in Cambogia (e domani sarò da un’altra parte, etc) perché non credo più che il successo lavorativo definito all’interno di un’azienda tradizionale sia un valore; non credo più che mi basti un’appartamento a Milano per sentirmi a casa. Non credo più che quello che faccio sia più importante di come sto. Come sto è importantissimo, e non accetterò più di stare dove sto senza delle condizioni minime che stavo ignorando da troppo tempo (tipo, avevo ceduto la libertà di gestire il mio tempo e il mio spazio in cambio della capacità di spesa - ma cosa ci faccio con la capacità di spesa se non posso gestire tempo e spazio?). A cento giorni dalla partenza posso dire una cosa che non è mai stata così vera in vita mia: STO BENE7.
Hai preparato il sugo al pomodoro per una signora singalese: +5 punti.
A lei è piaciuto: -5 punti.
Lei si è rifiutata di usare il cucchiaio, ha provato a raccoglierlo con le mani e le ha fatto schifo: +5.
Viaggi davvero se torni un po’ bambino
Questa apertura mentale che certamente viaggiare ti costringe a sviluppare almeno un po’, assomiglia alla mente elastica che siamo abituati ad associare ai bambini. E questi viaggiatori, senza fissa dimora, sempre in partenza, potrebbero sembrarti un po’ immaturi. In effetti, viaggiare sul serio può voler dire dimenticare tutto quello che si sa, e tornare un po’ bambini. Il che accade spesso, andando avanti con l’età, a bambini che non lo sono mai stati. Ma che cosa vuol dire crescere, diventare adulti?
Ognuno di noi è prigioniero dei propri pensieri, delle sue ossessioni, è perso nei suoi vortici, intrappolato in un vicolo cieco. Ognuno di noi è venuto qui nella speranza di chiarirsi un po’ le idee, di essere un po’ meno infelice.
Malroux racconta di aver chiesto ad un vecchio prete: “lei che ha passato tanti anni ad ascoltare la gente nel segreto del confessionale, che cosa ha imparato dell’animo umano?”
E il vecchio prete: “Ho imparato due cose. La prima è che la gente è molto più infelice di quanto non si creda, la seconda, è che gli adulti non esistono.
(YOGA, Emmanuel Carrère)
Se ti sei fatto prendere in giro da un bambino cambogiano perché hai la fobia dei ragni: +5 punti
Se lo hai preso in giro anche tu perché lui ha paura dei fantasmi: +5 punti
Se solo dopo hai scoperto che lo spiritismo in Cambogia è una cosa seria: -5 punti
Ok, quanti punti hai totalizzato? La risposta è: chissenefrega. Smettiamola di giudicare gli altri in cerca di scudetti. Se c’è una cosa che ti insegna viaggiare, qualunque tipo di viaggiatore tu sia, è che giudicare non serve proprio a niente.
Se stai iniziando a pianificare le prossime ferie, dai un’occhiata ai consigli molto utili (e agli sconti!) di EliMail, la newsletter del blog di viaggi di Elimeli.
All’epoca il fenomeno emergente era il Grand Tour, un viaggio intrapreso dai giovani europei aristocratici entro i confini della stessa Europa continentale per completare la loro educazione, da cui deriva la parola “turismo”; ma più in generale lo sviluppo dei trasporti aveva aperto l’opportunità di viaggiare anche alle classi meno abbienti, per cui nacquero agenzie come la famosissima Thomas Cook and Son nel Regno Unito.
Anche se Simmel non era un positivista come i padri della sociologia, resta che questa osservazione diretta non lo è davvero mai. La relazione soggetto-oggetto non si dà mai in modo puro, quello che osserviamo ci include sempre in quanto osservatori. È qui che sono ca**i per le scienze sociali, soprattutto prima della meccanica quantistica e delle altre teorie che hanno problematizzato questa relazione anche in ambito più tradizionalmente scientifico.
“Ora, io ho trentatré anni, e sento di aver già vissuto tanto e che ogni giorno passa sempre più velocemente. Ogni giorno sono costretto a compiere una serie di scelte su cosa è bene o importante o divertente, e poi devo convivere con l'esclusione di tutte le altre possibilità che quelle scelte mi precludono. E comincio a capire che verrà un momento in cui le mie scelte si restringeranno e quindi le preclusioni si moltiplicheranno in maniera esponenziale finché arriverò a un qualche punto di qualche ramo di tutta la sontuosa complessità ramificata della vita in cui mi ritroverò rinchiuso e quasi incollato su di un unico sentiero e il tempo mi lancerà a tutta velocità attraverso vari stadi di immobilismo e atrofia e decadenza finché non sprofonderò per tre volte, tante battaglie per niente, trascinato dal tempo. È terribile. Ma dal momento che saranno proprio le mie scelte a immobilizzarmi, sembra inevitabile, se voglio diventare maturo, fare delle scelte, avere rimpianti per le scelte non fatte e cercare di convivere con essi. Non così sulla lussuosa e immacolata M.N. Nadir.” (Una cosa divertente che non farò mai più, David Foster Wallace, IYKYK 🥹)
Ci torneremo se no divago troppo
Uso la traduzione di Vincenzo Rizza dell’articolo del New Yorker che riporta la citazione, The Case Against Travel. L’articolo di Vincenzo è Quanto siamo disposti a cambiare?
Questo si riflette anche su quanto davvero riusciamo a essere ospitali a “casa nostra”.
Anche se mentre scrivo sono a letto in preda ad attacchi di dissenteria, ma questo è un altro discorso :D
Negli anni sono giunta alla conclusione che essere "viaggiatore" è uno stato mentale, una scelta di come affrontare la vita. Per questo, alla fine, puoi essere benissimo un/a "viaggiatore" anche restando a casa. La meta del viaggio è assolutamente ininfluente. Grazie per questo bell'articolo!
Sono capitato su questa newsletter a caso. Non lo sapevo ancora ma era esattamente quella che stavo cercando! Temi e chiarezza espositiva da incorniciare. Grazie mille davvero! Per uno come me ossessionato dai motivi di viaggio delle persone, questi testi e questi riferimenti sono un balsamo!