Sono passati nove mesi da quando io e Fabio abbiamo lasciato Milano, il lavoro, la nostra vita precedente, nove mesi da quando siamo partiti per l’Asia con un biglietto di sola andata. Abbiamo viaggiato per India, Sri Lanka, Thailandia, Cambogia, Giappone e Indonesia, per tornare in Thailandia, dove abbiamo la possibilità di fare la vita che vogliamo. Forse arriverà il momento di fare un bilancio, ma per il momento possiamo permetterci il lusso, che ci siamo guadagnati accollandoci non pochi rischi, di continuare a stare in quello che c’è, a vivere il presente, senza lasciare che la riflessione su questa esperienza diventi più importante dell’esperienza stessa.
Questo equilibrio rischia una piccola scossa ora che abbiamo deciso di ripassare dall’Italia. Abbiamo amici da salutare, famiglie da visitare, insomma affetti da coltivare, ma ammetto che tornare potrebbe rivelarsi una delle esperienze più delicate di qualsiasi altra tappa di questo viaggio.
Riabbracciare chi faceva parte della tua quotidianità, e non vedi più da quasi un anno, da un lato ti riporta indietro nel tempo, dall’altro ti mette di fronte al fatto che non è solo un incontro, ma una riscoperta. È un ritrovarsi, ma anche un tentativo di riconoscersi, tra le persone che siamo diventati nel frattempo — non sconosciuti, ma forse nemmeno più del tutto familiari.
Questo specchiarsi potrebbe avere risvolti emotivi non banali, tra tutti gli attori coinvolti. Non so se è capitato anche a te, ma io ho notato che quando incontro persone che frequentavo da piccola, è come se i miei modi di fare regredissero un po’ a quel periodo, come se mi riadattassi repentinamente ai vecchi schemi di quella relazione, rimasta congelata nel passato, ma intatta.
È un meccanismo di memoria sociale, che coinvolge i processi cognitivi legati alla familiarità e all'abitudine nelle relazioni interpersonali. In sostanza, quando interagiamo con persone con cui abbiamo una lunga storia condivisa, il cervello tende a recuperare i modelli di comportamento e le dinamiche che avevamo in quel periodo della nostra vita. Lo fa per ragioni di efficienza: prima di fare la fatica di adattarsi completamente a nuovi dati, prova ad affidarsi a schemi appresi e collaudati, specialmente in contesti sociali.
Gioca un ruolo in questa dinamica anche il bisogno di coerenza cognitiva tra comportamento e ruoli sociali. Quando agiamo in un modo che è in conflitto con le aspettative che abbiamo coltivato a lungo in una relazione o in un gruppo, si genera una dissonanza, che può causare disagio psicologico.
Per evitare questo disagio, succede di ricadere in modalità di interazione che non ci appartengono più, in una sorta di “regressione”. Il problema è che, nel tentativo di contenere lo sforzo e il disagio nella gestione di una novità, si rischia di limitare la percezione dei cambiamenti avvenuti e quindi impedire alla conoscenza reciproca di approfondirsi ulteriormente, aggiornandosi.
Insomma, si gioca una partita importante nelle amicizie: lasciare spazio, non avere paura, continuare a impegnarsi. Da entrambi i lati: quello di chi è partito e quello di chi è rimasto.
Non ho paura di mettere alla prova tutto ciò che siamo diventati. In questi mesi abbiamo vissuto senza gli orari e gli impegni che scandiscono le giornate lavorative tradizionali, senza le aspettative della società o le pressioni che, inevitabilmente, fanno parte della vita in una grande città; abbiamo imparato a vivere con meno, rimescolando la nostra scala di valori e priorità e cercando di trovare una ricchezza diversa, adattandoci a culture e modi di vivere che non avremmo mai immaginato di conoscere così da vicino.
Ci siamo guadagnati un senso di libertà che, credo, ci porteremo dietro a lungo. Ma ora che stiamo per tornare, c’è una parte di me che si chiede: sarà una minaccia per quel distacco che ci ha permesso di guardare alle cose con occhi nuovi? Riusciremo a mantenerlo, senza farci travolgere dai vecchi schemi? O ci ritroveremo a scivolare lentamente indietro, verso abitudini e modi di pensare che non ci appartengono più, magari proprio per minimizzare la distanza che si è creata con le persone che amiamo? Senza contare quanto può essere alienante un discorso sul prima e dopo, quando da un anno investi tutte le tue energie nell’esercizio dell’ora. Insomma, niente di tragico, ma current mood: GRANATA.
Prima di affrontare questo rientro particolare, che sarà a sua volta composto da varie tappe in giro per l’Italia, siamo tornati a Koh Phangan, dove ho potuto continuare a insegnare yoga al centro dove ho studiato.
Fabio ha compiuto gli anni, e per vincere l’effetto nostalgia ho creato un archivio di foto del viaggio, un esercizio di savoring per conservare e prolungare le emozioni positive legate a quello che abbiamo vissuto. Per l’occasione, abbiamo anche visitato Koh Tao, un’isola dalla storia affascinante e per certi versi un po’ inquietante che ti voglio raccontare.
Koh Tao è un’isola di 21 chilometri quadrati al largo della costa occidentale del Golfo del Siam, nella provincia di Surat Thani.
Prima del 1943, Koh Tao era un'isola disabitata, visitata solo da tartarughe marine e piccioni di Nicobar, i parenti più stretti del leggendario Dodo, pacifico uccello delle Mauritius, estintosi nel giro di circa un secolo dopo il primo contatto con l'uomo, con l'ultimo avvistamento documentato attorno al 1662.
Pescatori e pirati vi giungevano occasionalmente e iniziarono a chiamarla Koh Tao, “Isola Tartaruga” in thai, non solo per via della numerosa popolazione di tartarughe che la circondava, ma anche perché osservandola da Koh Phangan l’isola stessa sembrava una grande tartaruga.
La storia civile di Koh Tao inizia ufficialmente il 18 giugno 1899, quando Sua Maestà il Re Chulalongkorn, noto anche come Rama V (1853 – 1910), la visitò e fece incidere le proprie iniziali su un grande masso a Laem Jor Por Ror, all'estremità meridionale della spiaggia di Sairee, che ora è un luogo di culto e venerazione per i residenti e i visitatori thailandesi: noto per le ampie riforme che modernizzarono il paese, re Rama V è molto amato anche perché riuscì a mantenere l'indipendenza della Thailandia in un periodo di grande pressione coloniale da parte delle potenze europee.
Tra il 1943 e il 1944 fu utilizzata come prigione politica: l’intera isola diventò la gabbia di detenzione per i coinvolti nella rivolta di Boworadet, un tentativo di colpo di stato avvenuto in Thailandia nel 1933, pochi mesi dopo la rivoluzione siamese che aveva trasformato la monarchia assoluta in monarchia costituzionale. Il protagonista della rivolta era il principe Boworadet, un aristocratico conservatore che si opponeva al nuovo governo, temendo la perdita di potere della monarchia.
La rivolta culminò in un conflitto armato tra i ribelli reazionari e l'esercito lealista del governo, da cui i primi uscirono sconfitti. Il principe Boworadet fu costretto a fuggire in esilio e molti dei suoi sostenitori furono arrestati o giustiziati.
In quell’occasione, Koh Tao fu trasformata in una piccola Alcatraz, ma l'isola non aveva alcuna infrastruttura per ospitare un numero così alto di detenuti, era infestata da squali e il clima tropicale rendeva l'ambiente insalubre. La malaria era una minaccia costante e la scarsità di cibo aggravava ulteriormente la situazione. Molti prigionieri soffrirono la fame e le malattie, mentre le condizioni sanitarie erano praticamente inesistenti. Commuove l’incisione di un prigioniero di Koh Tao che indicò il tramonto sul mare come l'unico sollievo, descrivendo le onde violacee sotto il cielo indaco.
La prigione chiuse nel 1944. Con un allentamento delle tensioni interne cambiò la politica di detenzione, il carcere di Koh Tao non fu più necessario e i prigionieri furono rilasciati.
Dopo la loro partenza, l'isola fu nuovamente deserta, ma con la fine della Seconda Guerra Mondiale iniziarono ad arrivare i primi coloni: la popolazione di Koh Samui e Koh Phangan stava crescendo e le risorse disponibili su queste isole erano limitate. Koh Tao aveva aree adatte alla coltivazione, un ambiente ricco di risorse naturali e opportunità per lo sviluppo della pesca.
I fratelli gemelli Ta Euam e Ta Oh furono i primi a stabilirsi sull'isola. Navigarono da Koh Samui a Koh Tao con una barca tradizionale e portarono con sé provviste, tra cui riso, per iniziare una nuova vita. La loro prima azione fu quella di sfruttare i materiali rimasti dalla vecchia prigione per costruire un rifugio temporaneo. Li raggiunsero le loro famiglie e iniziarono a stabilire una piccola comunità agricola e di pescatori.
Circa sei anni dopo il loro arrivo, altre famiglie, soprattutto da Koh Phangan, si unirono a loro per cercare nuove opportunità. La vita su Koh Tao era semplice, le condizioni piuttosto spartane, ma l'isola offriva un ambiente sufficientemente ricco da permettere un’economia di sussistenza.
L’isola conservò questo equilibrio fino agli anni Settanta, quando i primi viaggiatori, attratti dalle bellezze naturali e dall’incontaminato mondo sottomarino, cominciarono a visitarla. Nel 1984, fu fondato il primo resort a Koh Tao nella Shark Bay. Da allora, Koh Tao è diventata un paradiso per gli appassionati di immersioni di tutto il mondo e offre infrastrutture, servizi e attività per circa 350.000 turisti ogni anno.
L’immagine di Koh Tao come luogo tranquillo e incontaminato ha iniziato a sgretolarsi nel 2014, quando due giovani turisti britannici, David Miller e Hannah Witheridge, di 24 e 23 anni, furono brutalmente assassinati su una spiaggia dell'isola.
La tragedia scosse non solo la Thailandia, ma anche l’opinione pubblica internazionale. La polizia locale avviò un'indagine che si sarebbe rivelata controversa e caotica: due lavoratori birmani, Zaw Lin e Wai Phyo, furono arrestati e condannati per l'omicidio, nonostante le accuse di confessioni estorte con la tortura e l’assenza di prove concrete che collegassero i due sospettati al crimine. Il caso sollevò interrogativi sul sistema giudiziario thailandese, portando alla luce profonde divisioni tra abitanti autoctoni e lavoratori migranti, e facendo crescere il sospetto che le autorità volessero proteggere qualcuno di più potente.
L'omicidio di David e Hannah non fu un caso isolato. Dal 2014 in poi, Koh Tao è stata teatro di altre morti sospette. Nel 2015, una giovane francese, Christina Annesley, fu trovata senza vita nella sua stanza d’albergo. Le autorità dichiararono che la morte era dovuta a una combinazione di farmaci e alcol, ma la sua famiglia non accettò mai del tutto la spiegazione ufficiale. Lo stesso anno, un altro turista francese, Dimitri Povse, fu ritrovato impiccato, ma le circostanze della sua morte sollevarono dubbi sulla possibilità che fosse stato un suicidio.
Altri casi, come la morte della belga Elise Dallemagne nel 2017, aggiunsero ulteriori ombre sull'isola. Elise fu trovata strangolata nella giungla dell’isola e la polizia concluse che si trattava di un suicidio. Tuttavia, dettagli poco chiari della vicenda e il fatto che la giovane avesse già cercato di fuggire dall’isola prima della sua morte alimentarono il mistero.
Mentre i casi di morti sospette si accumulavano, l'opinione pubblica internazionale iniziò a fare collegamenti, più o meno legittimi, tra questi casi. Per molti, il filo conduttore era un clima di omertà locale, in cui i potenti interessi economici legati al turismo sembravano prevalere sulla giustizia. Alcuni ritenevano che la polizia thailandese, desiderosa di preservare l'immagine dell’isola come meta turistica sicura, avesse occultato prove o evitato di approfondire le indagini.
C’è chi ha ipotizzato che potrebbe essere coinvolto un gruppo organizzato non meglio specificato, coperto da figure influenti che trarrebbero vantaggio dal silenzio. Altri credono che la violenza dell’isola sia dovuta a una combinazione di fattori: l’isolamento, il traffico di droga e le tensioni tra residenti locali e lavoratori migranti. Qualunque sia la verità, Koh Tao è diventata tristemente nota come un luogo in cui il sogno di una vacanza perfetta può trasformarsi in un incubo.
Nonostante la crescente pressione internazionale, le autorità thailandesi hanno sempre difeso la loro posizione, sostenendo che l’isola è sicura per i visitatori e che la maggior parte dei decessi può essere spiegata con incidenti o cause naturali. Nel frattempo, i locali, che dipendono fortemente dal turismo, hanno cercato di riparare la reputazione dell'isola, promuovendo Koh Tao come una destinazione tranquilla e paradisiaca. I familiari delle vittime chiedono ancora giustizia e verità.
Koh Tao rimane un luogo di bellezza straordinaria, ma con un retrogusto amaro, dove il mistero e la tragedia sembrano intrecciarsi con il suo fascino tropicale.
Insomma, tartarughe, squali, pirati, re, galeotti, coloni, viaggiatori, assassini: autori di Netflix, io ve l’ho detto.
Tudum.
A proposito di rincontrare vecchie amicizie, io provo spesso un disagio profondo. Non sono più quella: ho pezzi di vita in mezzo che mi hanno fatto avvicinare di più a chi sono veramente mentre la sensazione è che molti di loro siano ancora lì bloccati nel passato e nel paesello. Quella memoria sociale la sperimento quando vado nel paese natio e riprendo i gesti, i toni alti, l'inflessione. Ma per esempio, ieri sera ho passato qualche ora qui a Parigi dove vivo ora con una amica d'infanzia venuta in visita e tutto era fuori fuoco, c'erano delle stonature, non riuscivo a tenere il ritmo del presente quando a legarci era solo un pezzo di passato. C'è molto che non condividiamo più ma c'è l'affetto. Basterà? O ce lo faremo bastare? Tu l'hai provato?
Riguardo a Koh Tao: non so se ci sia un livello di criminalità più alto che altrove, o se noi lo percepiamo come tale perché ci sono stati vari casi che hanno coinvolto stranieri, quindi gente in cui noi ci possiamo immedesimare.
Se c'è una cosa che ho imparato, nel corso degli anni, è che in Thailandia come ovunque c'è un sottopelo molto oscuro, che negli anni ha implicato sparizioni, intimidazioni, traffico di droga, tratta di esseri umani, e chi più ne ha più ne metta.
È solo che finché coinvolge persone thai o asiatiche, le informazioni restano nelle pagine di cronaca locale senza uscirne – hai sentito delle scam cities sul confine birmano, per dirne una?
Ti lascio un link di Al Jazeera: https://www.aljazeera.com/news/longform/2024/7/29/under-siege-in-myanmars-cyber-scam-capital
Comunque sì: per Netflix indubbiamente Koh Tao va benissimo. L'equivalente del maggiordomo di Agatha Christie è sempre Il Lavorante Birmano (o Khmer) 😅