Ci siamo lasciati che ero dispersa nel giardino del tempio zen di Kenchoji, Kamakura, alla ricerca del maestro Daigo Ozawa. Dopo essere uscita di casa, molto emozionata e molto in anticipo, per partecipare al mio primo zazen kai, mi sono ritrovata a meditare con un simpatico signore e un’insegnante di yoga giapponesi in un tempio sbagliato, quello di Tokozenji. Un’ora meravigliosa che è trascorsa senza che nessuno di noi realizzasse o affrontasse l’errore, dopodiché, grazie all’aiuto dei due, mi sono catapultata appunto a Kenchoji. Peccato che Kenchoji sia un magnifico labirinto di giardini zen ed edifici di culto, e io fossi ormai ufficialmente in ritardo per il mio appuntamento. Con serena rassegnazione ho cercato comunque di godermi il tempio.
Se vuoi saperne di più di buddismo, religione in Giappone o come sono arrivata fino a qui, recupera l’episodio precedente.
Risonanza Personale o “Spiritual Shopping”?
Sei buddista? Perché volevi così tanto fare meditazione in un tempio con un monaco? Non è mancanza di rispetto fare i turisti delle religioni? Ho già parlato di come il buddismo si possa adottare sia come una religione che come una filosofia, ma ci tengo ad approfondire questo secondo aspetto, a partire dalla meditazione.
La meditazione è una pratica millenaria, propria dell'essere umano, che consiste nell'abituare o "allenare" la mente con tecniche specifiche e l'obiettivo di raggiungere stati di presenza diversi, profonda calma e tranquillità, maggiore consapevolezza.
È da sempre associata a varie tradizioni spirituali e filosofiche, ma negli ultimi decenni ha guadagnato popolarità anche come tecnica isolata per migliorare la concentrazione e la produttività, non senza controversie (consiglio questa riflessione della mia insegnante di yoga in Italia, Tess Privett). È riconosciuta nella sua efficacia nel mitigare lo stress, modulandone la risposta fisiologica e agendo attraverso la promozione del rilassamento1.
In pratica? La meditazione può assumere molte forme: la concentrazione su un singolo oggetto (come la respirazione o una frase ripetitiva), la visualizzazione di immagini rilassanti, la riflessione su concetti paradossali che mettono in discussione l’intelletto - koan, o l'apertura consapevole a pensieri, emozioni e sensazioni corporee senza giudizio.
Gli obiettivi della meditazione variano a seconda della tradizione e della pratica individuale, ma spesso includono, oltre a quelli già citati, la promozione di una prospettiva più equanime verso la vita e le sue sfide.
In breve, la meditazione è un'arte antica che offre una via per esplorare e coltivare il potenziale della mente umana per il benessere e la crescita personale.
Un approfondimento delle radici storiche e culturali della meditazione rivela una dimensione fondamentale per comprenderne appieno la prassi e il suo scopo, arricchendo il praticante di intuizioni sull'evoluzione della disciplina e sulla sua funzione nella storia dell'umanità, oltre a elicitare un senso di gratitudine per il patrimonio culturale che essa incarna. È bello e credo anche giusto cercare di sentirsi partecipi, nel nostro piccolo, di una tradizione millenaria, radicata nel desiderio umano di pace ed equilibrio. Aiuta inoltre a riconoscere che la pratica meditativa non è soltanto una moda del momento, ma un continuum di ricerca che trascende le barriere temporali e culturali - e quindi a evitare la tanto temuta “appropriazione culturale”, credo.
Una delle cose che sto capendo sempre di più con l’esperienza diretta, oltre che in teoria, durante questo viaggio, è quanto l’autenticità sia un’esperienza soggettiva, non una caratteristica che appartiene alle cose in sé, separate dai soggetti che ne fanno esperienza.
La frammentazione del senso del sé e la crisi dell’idea di comunità, tipiche delle società occidentali contemporanee, rendono più difficile per le persone trovare un significato profondo e duraturo nelle proprie scelte e nel modo in cui conducono la propria esistenza. Questo può causare un grande senso di spaesamento e solitudine, che in parte è forse intrinseco alla natura umana, in parte è esasperato dall’individualismo capitalista e dal riduzionismo utilitarista.
Charles Taylor, uno dei più influenti filosofi contemporanei, autore di L'età secolare2, ha analizzato come la modernità abbia trasformato la nostra percezione del sacro e del profano e come ciò influisca sulle esperienze individuali di autenticità. Ciò che rende plausibile una particolare forma di credenza - “conditions of belief”3 - è cambiato radicalmente, ma il bisogno di credere esiste ancora. Taylor utilizza il concetto di risonanza personale per descrivere come, nonostante la secolarizzazione, le persone cerchino e trovino significato in esperienze che non sono più necessariamente appannaggio di istituzioni religiose o testi sacri tradizionali, ma che sono in grado di suscitare un effetto di risonanza personale con i soggetti che le vivono. Trovare questa sintonia con l’altro è cruciale per la formazione di un senso autentico del Sé - e per navigare le complessità della vita. La risonanza è ospitalità, non appropriazione.
In questi spazi di significato personale, o a volte comunitari, si può vivere un senso di appartenenza che va molto aldilà dei confini dell’appartenenza contingente a un dato gruppo (storico, geografico, linguistico, etc.) e ridisegna la propria rete o mappa esistenziale in modo da dare sollievo al senso di isolamento. Per questo credo che sia così importante imparare bene ad ascoltarsi e capire che cosa risuona con la nostra sensibilità e che cosa no, che cosa ci nutre e che cosa ci avvelena, e muoversi di conseguenza, anche se questo può significare allontanarsi da casa. Questo è il viaggio, per me: bussare a un’altra porta e vedere che cosa succede.
Una seconda possibilità
Il monaco e abate Daigo Ozawa della tradizione Zen Rinzai: è lui il mio uomo. È lui che mi ha invitato a partecipare a un training di meditazione zazen, è lui che non mi ha detto dove, è a lui che non ho chiesto. È per questo che ora potrebbe essere andato tutto a monte. Il posto alla fine l’ho trovato, ma era troppo tardi.
Non solo, quando sono uscita dal tempio, Airalo ha avuto un problema tecnico e mi sono ritrovata completamente senza connessione dati e cellulare. Ci mancava anche l’esperienza on the road vecchio stile… Ma ehi, la meditazione funziona: shit happens, no panic, CAMMINA.
Quando riesco finalmente a tornare a casa, scrivo a Daigo raccontandogli delle ragioni del mio ritardo. Nessuna risposta per due giorni. Poi, sabato, ricevo una sua mail.
Con un tono serio, ma ironico, mi fa i complimenti per la mia avventura (…) e mi dice che ci sarà un zazen kai il giorno dopo, a partire dalle 9 del mattino, “al mio tempio”. Sarà una sessione in giapponese, ma mi possono avere come ospite e si offre di chiarirmi eventuali dubbi successivamente.
Non mi sembra vero: ho una seconda possibilità! Questa volta, però, gli chiedo esattamente l’indirizzo e le indicazioni per raggiungerlo. Lui me le fornisce nel dettaglio. Era facile.
È lo stesso posto dove ero finita per sbaglio la prima volta (…) e fila tutto liscio: arrivo dieci minuti prima dell’inizio della sessione e finalmente incontro Daigo, personaggio incredibile, allegro, solare, ma allo stesso tempo arguto, elegante. È un monaco giovane per il suo ruolo, e questo rafforza la sua autorevolezza, non la sminuisce. Si vede che è molto rispettato da tutti, ma il clima è amichevole e rilassato. Mi ritrovo insieme a una ventina di persone disposte lungo le pareti della sala davanti all’altare, siamo tutti seduti a gambe incrociate, con la schiena verso il muro, in mano abbiamo il testo di un mantra di Hakuin Ekaku4 e al centro della sala c’è il koro, il recipiente usato per bruciare l’incenso che purifica la sala.
Ciak, Whoosh, Whack
Daigo Ozawa apre la cerimonia con un bel discorso in giapponese (eh), dà istruzioni su postura, sguardo, respiro - incomprensibilmente capisco, è molto teatrale e mima bene le azioni - poi si siede davanti a un set di strumenti musicali: il mokugyo, un blocco di legno scolpito a forma di pesce, con una cavità interna che produce un suono profondo e vibrante quando viene colpito con un bastone imbottito, tamburi e campane di varie dimensioni. Partono le note di I Can See for Miles di The Who - NO, non è vero. Però quando Daigo inizia a suonare si crea subito un'atmosfera solenne e particolarmente incalzante. Ogni suono ha una funzione specifica nel guidare il mantra e anche il cantato è molto peculiare, non melodico: la tonalità è bassa e monotona, con una ripetizione ritmica che crea una sensazione di stabilità e continuità, le vocali sono allungate e le consonanti chiaramente articolate5. È davvero coinvolgente e ipnotico. L’orecchio prende subito confidenza con il suono dello hyoshigi, strumento usato anche nel teatro tradizionale giapponese per marcare il ritmo e i cambiamenti di scena: si stratta di due blocchi di legno legati che vengono battuti insieme per produrre un suono forte e nitido. Una specie di CIAK. Dopo questo grande frastuono corale cala il silenzio e inizia la prima sessione di meditazione.
Durante la meditazione zazen, gli occhi sono socchiusi, per evitare distrazioni e restare vigili, lo sguardo è sfocato, leggermente inclinato verso il basso, la schiena è dritta, la testa ferma. Non si è quindi proprio al buio, ma di certo non si vede nulla di quello che succede attorno. Sull’onda delle ultime vibrazioni sonore che ancora sento che mi attraversano, inizio a concentrarmi sul respiro, a lasciare andare i pensieri. Provo a immergermi nella calma di quel vuoto intimo, accogliente e paradossale che sparisce se ti accorgi di lui. CIAK! Vengo distratta dal suono di quello che - CIAK! - sembra di nuovo lo hyoshigi. CIAK! CIAK! Quattro colpi consecutivi poi silenzio. Riparto con la mia immersione, leggermente turbata da questa interruzione.
Dopo poco: CIAK! CIAK! CIAK! CIAK! Altri quattro. Percepisco un lieve movimento nella stanza e anche se non voglio aprire gli occhi, per non violare la sacralità del momento, non riesco a smettere di chiedermi che cosa sta succedendo. Termina questo “primo round”, Daigo si riporta al centro della sala, parla per un po’ in modo molto coinvolgente, poi ci prepariamo di nuovo per il secondo giro.
Socchiudo gli occhi, respiro… CIAK CIAK CIAK CIAK Macchecazz!… Caaal-maaam. Ok, ormai mi è chiaro che non si tratta dello hyoshigi, sta succedendo qualcosa di diverso. Mi viene un flash: Tess! Sì, la mia insegnante di yoga in Italia. Qualche mese fa ho letto un suo articolo in cui raccontava la storia della sua prima esperienza di meditazione Zen, in cui ha ricevuto… Una bastonata del monaco.
“Questo suono non è lo hyoshigi”, ho capito. “È il bastone”.
Strangely I remember hearing the whoosh of the stick and then the whack as it hit something soft (my shoulder), before I actually perceived the pain. Then the tears sprang out instantly and projectile like, surprising both of us.
(Meditation and meanderings towards progress,
by Tessa Privett)Non è che il tema bastonata mi fosse scivolato via, al contrario, è che il mio cervello aveva archiviato l’aneddoto come “di altri tempi”, dato che il racconto di Tess risaliva a ventiquattro anni fa e aveva al centro i progressi che si fanno nel corso degli anni. Ora che mi trovo a meditare non sul canto degli uccellini, sulle onde del mare o su quelle del respiro, ma su questo strano suono, mi è sempre più chiaro che si tratta di vere bastonate. Alla faccia della risonanza. Decido di aprire un poco di più gli occhi e inizio a sbirciare più esplicitamente per capire davvero che cosa sta succedendo.
E niente, cosa sta succedendo: con il passo felpato di un samurai e una riconoscibile qualità mistica che accompagna ogni suo movimento, Daigo sfila in stentoreo silenzio davanti a ogni praticante. Ogni tanto si ferma, l’orientamento dei suoi piedi cambia repentinamente, c’è un attimo di sospensione e poi: CIAK! CIAK! CIAK! CIAK! Quattro bastonate ben assestate e riparte. Tra lo stupore e l’allerta mi sento improvvisamente una bambina. Non ho il coraggio di aprire ancora di più gli occhi per cercare di scoprire qual è il criterio con cui si ferma e bastona. Sia chiaro: non mi sento mai non al sicuro, è soltanto un’atmosfera decisamente più frizzantina del previsto, in cui mi sento in bilico tra la curiosità dello spettatore, la concentrazione del praticante e il pudore dell’intruso - è pur sempre la mia seconda volta in un tempio zen in Giappone.
Si conclude anche questo turno e ricomincia una parte parlata. Daigo introduce anche un ospite speciale - oltre a lui, partecipavano diversi altri monaci. L’ospite è Meido Moore, l'abate di Korinji, un monastero Zen Rinzai in Wisconsin, autore di diversi libri sullo zen. Moore ha iniziato a praticare lo Zen nel 1988 e ha studiato nel lignaggio di Omori Sogen Roshi, maestro Rinzai del XX secolo. È anche ordinato nella tradizione Shugendo del Monte Koshikidake6 e ha un background come insegnante professionista di arti marziali. Benissimo, speriamo che non meni anche lui! - penso, ma sorrido, anche perché il siparietto tra i due è pieno di inchini, passi avanti e indietro, ironia e pudore, trasudano entrambi molta umanità dalla loro aura sacra.
Fortunately, Meido speaks english, quindi parla per cinque minuti - che Daigo traduce svelto in tre secondi di giapponese, grande classico - di qualcosa che anche io posso capire. E insomma Meido ci dice che noi siamo come lame di fronte alla roccia che è la vita. Possiamo continuare a colpire la pietra con la punta, oppure possiamo cambiare leggermente la nostra inclinazione, accarezzare la pietra e prenderci una bella lucidata. In ogni caso, you don’t blame the rock for being a rock. Ok, ci portiamo questo pensiero con noi, ringraziamo Meido e andiamo avanti. Terzo round.
Questa volta sono decisa a capire cosa sta succedendo. Aggiusto da subito la mia postura in modo da mimetizzare il più possibile il mio sbirciare, e sbircio. Ma non è sufficiente, senza sporgermi e aprire gli occhi non vedo che cosa mi sta succedendo intorno. Fino a quando, mentre Daigo si sta avvicinando alla mia posizione, la persona che è proprio accanto a me scioglie il suo mudra e porta le mani in posizione di preghiera davanti al petto. Vedo. Daigo si ferma di fronte a lui, fa lo stesso. La persona seduta incrocia le braccia sul petto e lentamente si prostra al maestro in piedi, che con una mossa fulminea agita il bastone e gli sferra due colpi consecutivi su ciascuna spalla. CIAK! CIAK! - CIAK! CIAK!
Ok, capito. Non mi arriverà una bastonata a caso, ma potrei chiederla. Dovrei? Vorrei? Come è potuto succedere che mi ritrovi a chiedermi se voglio una bastonata?! Di questa bastonata in realtà so molto poco: che deve fare malissimo, si capisce dal suono - sembra proprio il fischio di una frustata, oltre che dalla descrizione di Tess. Che debba servire a riportarti al momento presente, si può dedurre facilmente. Be’, se c’è una cosa chiara è che sto facendo ogni tipo di congettura da mezz’ora, quindi di certo non sto meditando. Che mi serva davvero una bastonata?
Non mi sono fatta bastonare. Un po’ perché ho capito tardi come funzionava, un po’ perché non ne avevo chiarissimo il senso, quindi nemmeno se fosse opportuno da parte mia fare la prima mossa, un po’ perché volevo arrivarci con più consapevolezza. Ho pensato anche di prendermi ‘ste bastonate in silenzio e smetterla finalmente di pensare, ma avevo anche oggettivamente paura del dolore, dei segni, proprio lì dove porto lo zaino… FACCIAMO LA PROSSIMA VOLTA.
Il colloquio con Daigo
Al termine della sessione, Daigo mi invita ad approfittare della presenza di Meido per confronarmi con lui, e chissà magari Meido è davvero il guru dei guru, ma io non sono venuta fino a Kamakura per affidarmi a una guida spirituale del Wisconsin ma io insisto per parlare con Daigo e vuoto subito il sacco: gli dico che è stata una bellissima esperienza ma che sono rimasta un po’ stupita dalla presenza e dall’utilizzo del bastone, che paradossalmente mi ha molto distratta quando forse la sua funzione è invece quella di farti… Concentrare? Lui mi risponde che la funzione del bastone è sempre quella di un incoraggiamento, mai quella di una punizione. Gli chiedo allora come faccio a capire se ho bisogno di un incoraggiamento, visto che lo devo decidere da sola, non lo decide il monaco - una volta era diverso? Lui mi risponde che è così ancora oggi, dipende dal tempio, è normale che il monaco provi a darti una svegliata se rischi di addormentarti. Però lui preferisce che sia il praticante a chiedere aiuto quando sente di averne bisogno. Quindi dipende da me. Ok, ma per quel che ne so io, dato che l’illuminazione è ancora lontanuccia, potrei avere sempre bisogno di un incoraggiamento, che facciamo? Lui ride e mi dice che decido io se ho bisogno di un “refreshing feeling”. Gli chiedo se la funzione - il senso? - della bastonata stia nell’atto della bastonata in sé, o nella sua relazione al monaco che la esercita, o in relazione al dolore che resta dopo la bastonata. Mentre parlo, lui conta le tre interpretazioni che gli sto proponendo, sollevando un dito dopo l’altro della mano destra con la mano sinistra. Al terzo dito fa una pausa, finge di pensarci su, mi guarda e mi dice: “Both”. Sorride e se ne va.
Taylor, C. (2007). A Secular Age. Cambridge, MA: The Belknap Press of Harvard University Press; Taylor, C. (2009). L'età secolare. (Traduzione di G. Caronello, L. Gentili e P. Costa). Milano: Feltrinelli.
Il concetto di "condizioni di credenza" (conditions of belief) nel contesto del pensiero di Charles Taylor si riferisce al quadro culturale, sociale e storico che rende possibile e plausibile una particolare forma di credenza o sistema di valori. Taylor esplora come le condizioni di credenza si siano trasformate nel corso della storia, influenzando profondamente il modo in cui le persone concepiscono e vivono la loro fede e i loro valori.
Hakuin Ekaku è uno dei più eminenti maestri zen giapponesi della storia, noto soprattutto per il suo ruolo nel revival del buddhismo zen durante il periodo Edo. È considerato una figura fondamentale nella scuola Rinzai del buddhismo zen giapponese. Il mantra è questo.
Non sono soddisfatta del link, ma se ti interessa ascoltare è una cosa del genere
La tradizione Shugendō del Monte Koshikidake è una pratica spirituale giapponese che combina elementi del buddismo esoterico, dello shintoismo, del taoismo e delle tradizioni animistiche locali. Shugendō è un percorso di ascesi montana e pratica spirituale che cerca l'illuminazione attraverso la comunione con la natura, in particolare le montagne, che sono considerate sacre. Fammi controllare che impegni ho il prossimo mese…
Grazie Daria per questo doppio racconto. Al di là di tutti gli spunti sulla meditazione e lo zen, mi hai riportato alle emozioni, quelle vere, che si provano impelagandosi in certe avventure. Di quelle volte in cui ti chiedi: "Ma come ci sono finito/a qui?" eppure sai di essere nel posto giusto al momento giusto. Grazie grazie.
Quando un monaco buddhista incontra Daria, il monaco buddhista deve stare in campana e rispondere alle domande 😎