Vivere in una comune in Andalusia
Peace, Love and Understanding Could Breakout at any Moment
Ed eccoci qui, nel 2025. Che Dio ce la mandi buona.
Io e Fabio siamo di nuovo in viaggio. Stavo per scrivere che “siamo ripartiti per una zingarata”, parola a cui sono molto affezionata fin dai tempi in cui io e miei compagni di studio scappavamo a Milano, da Cesano Maderno, senza troppo preavviso né particolare scopo, solo per il piacere di muoverci e cambiare aria. In italiano ha un uso colloquiale e figurativo, che deriva dal film Amici miei di Mario Monicelli, in cui la zingarata è una partenza senza meta e senza scopi, un'evasione senza programmi e senza durata prestabilita. Nel contesto del film, si riferisce a un'azione spontanea, intrapresa per il puro piacere di divertirsi e rompere la routine quotidiana, da amici uniti dalla voglia di non prendere la vita sul serio. Ci sono molto affezionata, ma mi chiedo: oggi potrebbe essere considerato offensivo o poco rispettoso da alcune persone, specialmente se percepito come legato a stereotipi sui rom o sinti?
Dicevo, siamo partiti per un fughino in Andalusia: siamo atterrati a Siviglia, ci siamo spostati a Cordoba, Granada, Malaga, Tarifa, Cadice, abbiamo festeggiato Capodanno in tenda in una comune ad Almonte, vicino a Huelva, e ora siamo tornati a Siviglia, dove ci fermeremo per un po’.
Cadice, Cádiz in spagnolo, è una delle città più antiche dell'Europa occidentale. Fondata dai Fenici intorno al 1100 a.C., si trova in Andalusia, nella Spagna meridionale, su una stretta striscia di terra circondata dall'Atlantico. Qui la luce è incredibile ed è molto facile incontrare per strada persone comuni che, passeggiando tranquillamente, cantano ad alta voce. La trovo una cosa bellissima. Immaginati la stessa scena a Milano: ti prendono per pazzo. Versi di molte canzoni popolari, tutt’altro che desuete, raccontano della ricca tradizione de las alegrías, un particolare filone del flamenco gaditano:
Se un giorno andrai a Cádiz e passeggi per il quartiere de La Viña, se un giorno andrai a Cádiz capirai perché si cantano con così tanta passione le alegrías, si distillano le parole e si muovono le melodie.
Non sono un’esperta di flamenco, ma mi ha colpito che i periodi storici in cui il potere era in mano a forze conservatrici spagnole, questa forma d’arte abbia sofferto moltissimo, mentre è rifiorita con l’abolizione dell’Inquisizione nel 1834, quando sono apparse le prime testimonianze scritte del flamenco, e con la caduta del regime franchista. Sebbene Franco tentasse di promuovere il flamenco come elemento importante dell’identità spagnola, infatti, dato che la repressione colpiva i principali gruppi sociali da cui il flamenco in realtà prendeva forma, solo nei periodi in cui questi gruppi erano liberi il flamenco ha visto le sue migliori espressioni.
Non si conoscono le vere origini del flamenco, ma i suoi quattro aspetti essenziali ne disegnano una geografia complessa: il toque (chitarra), il jaleo (il ritmo scandito dalla partecipazione del pubblico: lo schioccare delle dita, i battiti delle mani, gli ‘olé!’), il cante (canto) e il baile (ballo). Il flamenco è una conversazione tra queste parti e tra i suoni di diverse epoche storiche. Il toque viene fatto risalire all’oud arabo, una sorta di liuto, portato sulla sponda europea del Mediterraneo dai mori. Il baile flamenco ha molte similutidini con la danza indiana kathak, il cui nome sanscrito significa ‘storia’, e serviva per tramandare le vicende di Krishna tra le diverse generazioni di nomadi che si spostavano nel Rajasthan e nella pianura del Gange. Il popolo rom svolse un ruolo fondamentale nel raccogliere queste diverse eppure affini tradizioni culturali, conosciute nelle proprie peregrinazioni, per poi portarle in Andalusia nel Quattrocento, dove il flamenco continuò a evolversi. Nel classico repertorio del cante jondo (letteralmente ‘canto profondo’), che racchiude e tenta disperatamente di superare il dolor (dolore) e il grito (lamento) della condizione umana, si può sentire all’opera la tradizione orale gitana. Proprio dall’esorcismo di quella disperazione può nascere una grande allegria.
Cádiz è vivacissima e bellissima: il centro storico è un labirinto di stradine strette ma luminose, con un bel mix di negozi alla moda e botteghe tradizionali, ampie piazze soleggiate con un brulicare costante di passanti, come Plaza de las Flores, e mercati del cibo attraversati da colonnati neoclassici, come il Mercado Central de Abastos. La città non a caso è conosciuta come la Tacita de Plata ("Piccola tazza d'argento"), per il suo splendore quando riflette la luce del sole sul mare, e vanta alcune delle migliori spiagge della Spagna, come La Caleta, ideale per il tramonto, e Playa de la Victoria, una distesa di sabbia che sembra infinita. È anche il luogo dove fu scritta la Costituzione spagnola del 1812, detta affettuosamente La Pepa, dal diminutivo del nome del santo celebrato il giorno della promulgazione, San José, il 19 marzo. A Cadìz si possono visitare anche resti ben conservati di un antico teatro romano.
Non molto distante si trova Tarifa, l’estrema punta meridionale della Spagna, dove le acque del Mediterraneo incontrano quelle dell’Atlantico. In inverno tira un vento senza senso, e la leggenda narra che Tarifa abbia il più alto tasso di suicidi della Spagna, che aumentano quando soffia implacabile il vento di Levante, dallo stretto di Gibilterra. L'associazione tra il Levante e i disturbi psicologici ha basi scientifiche: il vento può influire sull'equilibrio elettrochimico del cervello e sul sistema nervoso, analogamente ad altri fenomeni atmosferici come il foehn nelle Alpi o lo Scirocco nel Mediterraneo. Esistono in effetti studi e testimonianze locali che collegano il Levante a un aumento di disturbi dell'umore, tra cui ansia, irritabilità e depressione, ma sul più alto tasso di suicidi non ho trovato conferme attendibili - i dati sui suicidi sono un tema complesso. Fatto sta che Tarifa, proprio grazie al vento, ha avuto anche un grande successo tra appassionati di kitesurf e windsurf da ogni parte del mondo, ed è diventata il principale centro spagnolo per gli sport acquatici.
Da Tarifa il Marocco è vicinissimo, molto più di quanto pensassi. È una vicinanza amara, se si pensa che nel 2010 l’atleta professionista Gisela Pulido ha compiuto la traversata da Tarifa al Marocco con il kite in 35 minuti, ma nella direzione opposta, ogni anno, centinaia di migranti provenienti dall’Africa subsahariana si riversano in mare, tentando di compiere la traversata con scafisti senza scrupoli. Nel cimitero di Tarifa, file di bianche lapidi anonime ricordano queste vittime.
Tappa dopo tappa, mi accorgo che inevitabilmente questo viaggio per me ha un significato diverso rispetto a quelli che hanno caratterizzato il mio 2024 e mi ci devo ancora abituare. Ma nella piccola comune di Alimonte abbiamo incontrato molti nomadi che, come noi, si sono riuniti per festeggiare insieme il nuovo anno e lì ho anche scoperto che non sono pochi quelli che, quando decidono di ristabilizzarsi, scelgono di vivere in una comune.
Vivere in una comune significa far parte di un gruppo intenzionale i cui membri condividono spazi abitativi, risorse e responsabilità, in genere sulla base di principi collettivistici e ideali comuni. Questo stile di vita implica la proprietà comune dei beni e una gestione coordinata delle attività quotidiane.
Le comuni hanno una lunga storia, ma perlopiù oggi rievocano i movimenti sociali e culturali degli anni '60 e '70: molte comuni emersero come risposta alle tensioni sociali e politiche dell'epoca, cercando di creare alternative alle strutture familiari e sociali tradizionali, che iniziavano a scricchiolare senza lasciare eredità sufficienti a colmare il vuoto del loro imminente crollo.
Negli ultimi anni, si è osservato un rinnovato interesse per un ampio spettro di forme di vita comunitaria, a conferma che correlano con periodi storici di aspra polarizzazione sociale. Il tentativo è sempre quello di ridefinire il concetto di convivenza all’interno di una società percepita come divisa e frammentata, che ha preso diversi scossoni a causa di urbanizzazione di massa, ma anche di isolamento forzato durante il covid. Vivere in una comune offre sia un senso di appartenenza, sia la responsabilità di contribuire, basi importanti per soddisfare il nostro bisogno di autorealizzazione (ne ho parlato qui), lontano da alcune definizioni stereotipate di “successo”, legate, per esempio, ai soldi e al controllo.
La ricerca di un'alternativa al modello abitativo tradizionale non cattura solo l’attenzione di nomadi riconvertiti, ma anche quella di persone con percorsi di vita molto diversi tra loro: giovani idealisti che dopo un’esperienza al Parlamento europeo ne sono usciti disincantati; coppie senza figli e senza grandi famiglie alle spalle che non vogliono chiudersi in una bolla di solitudine borghese; famiglie con bambini in cerca di una rete di supporto. Ci sono anche persone che, da un’altra bolla, verrebbero definite emarginate, e in un certo senso è così: sono outsider della società civile che vivono facendo esperienze fuori dall’ordinario, per testare i confini della realtà e della propria mente. Sono tutti in cerca di un antidoto al senso di atomizzazione che può attraversare sia chi sceglie di vivere senza punti di riferimento geografici stabili, sia chi un posto fisso ce l’ha, ma tra centri urbani sempre più spietati e condivisioni online sempre più costruite, si è abituato a vivere in blister full optional non solo architettonici, ma esistenziali.
Non a caso, spesso le comuni più autentiche hanno una vocazione ambientalista e promuovono un detox digitale. Il luogo che ho visitato è nato dall’iniziativa di una coppia, Cynthia, spagnola, e JJ, polacco, che nel 2015 ha dato vita a Global Tribe, una comunità che si propone di “sviluppare e diffondere abitudini di vita sostenibili e autosufficienti, attraverso forme di cooperazione tra l'essere umano e la natura”.
Si tratta insomma di un eco-living project che prova a ripescare la carta del famoso futuro migliore, quella che ci siamo giocati malissimo nella manche precedente.
In pratica, chiunque può partecipare come ospite o volontario, contribuendo a organizzare festival, seminari e incontri che riuniscono persone di background diversi, o semplicemente a mandare avanti la struttura e le sue risorse: lavoro nei campi, manutenzione, cura del raccolto, cucina, qualsiasi cosa occorra in quello che di fatto è un mix tra una comunità rurale e un hub creativo.
Tutto bellissimo? Forse. Per una persona introversa - come me - vivere in una comune potrebbe essere un modo per incontrare nuove parti di sé, oppure per maltrattarne ingiustamente alcune che andrebbero tutelate. Avere costantemente a che fare con un gruppo con cui relazionarti, confrontarti, aprirti, può essere un incubo, molto prima di arrivare a discutere preoccupazioni legate a dinamiche settarie. Come dice un cartello, ironico ma onesto, all’ingresso del villaggio di Global Tribe: “Peace, love and understanding could breakout at any moment”.
Quando ero in Giappone, ho chiesto al maestro zen Daigo Ozawa che consiglio darebbe a chi si sente attratto dalla vita monastica per fuggire alle dinamiche della società. Mi ha risposto che un monastero è una piccola società, e chi ci entra per fuggire alle dinamiche sociali resterà deluso. Touché.
Il viaggio di Tess
Nel 2012 sono tornata a Milano dopo un periodo di cure nel reparto di oncologia ed ematologia del policlinico di Modena, dove ho trovato un’équipe di persone straordinarie che mi ha salvato e tenuto a galla in uno dei periodi più difficili della mia vita.
Sensazioni di Tokyo
Siamo abituati a pensare che le storie d’amore inizino con l’incontro tra i due protagonisti, ma non è sempre così. Ci sono storie d’amore che iniziano solo quando c’è un serio dubbio che gli innamorati possano davvero incontrarsi.
Grande maestro zen! Le dimensioni di una comunità hanno un impatto, ma più che il numero di persone sono le dinamiche che si innescano tra di loro a fare la differenza.
Mi hai riportato a Cadice, dove ho vissuto per qualche mese tra ottobre 2016 e febbraio 2017. Leggendo quelle poche righe mi hai riacceso ricordi e sensazioni, grazie! Sulla comune sono un po' così... non penso sia la scelta giusta per me, ma come sempre... non si sa mai 😄